Ancora oggi sono vividi i miei ricordi di quel lontano 29 maggio 2016.
Un’intera giornata a camminare sotto acqua torrenziale, sferzato da aria fredda e coi piedi immersi nel fango. Succede proprio in quel giorno… proprio durante la tappa che conduce alla Cruz de Hierro, il punto più alto del Cammino di Santiago a 1500 metri.
Fradicio e tremolante come un pulcino giungo dinnanzi al rifugio Manjarin, ovviamente a temporale concluso.
Ed è qui che avviene l’incontro con Tomás Martínez de Paz meglio conosciuto come l’Ultimo dei Templari.
Voglio parlarvi di lui, non tanto per il mistero e la leggenda che lo avvolgono, ma perché è la dimostrazione che il cambiamento è possibile in ogni istante della nostra vita.
Due parole sulla vita di Tomás
Un uomo, che nel 1986 decide di intraprendere il suo Cammino di Santiago e di interromperlo nel luogo simbolo dell’Ordine Cavalleresco dei Templari: Ponferrada.
Sì, si ferma… non prosegue oltre, perché quella città è la sua musa ispiratrice. Non può ignorare i segnali che gli sta inviando.
Sceglie di aprirsi al Cammino per poter cogliere i segni.
Con una nuova consapevolezza, si allontana dalla sua vita di città e nel 1993 si trasferisce tra le montagne dell’abbandonata Manjarin.
Fonda il movimento templare “Orden del Temple Resurgida”.
Ricostruisce una vecchia struttura in pietra e ne fa il rifugio templare per accogliere i pellegrini come ai tempi antichi.
Il mio incontro con Tomás
Eh già, ho scritto proprio “tempi antichi”… per rendere l’idea vi racconto il mio arrivo da Tomás.
Appena giungo a Manjarin chiedo a Tomás la possibilità di poter passare la notte da lui.
Con modi affabili mi invita a bermi un caffè e poi a farmi un giro per il rifugio “Solo allora deciderai se fermarti realmente” mi dice.
Al momento non capisco il significato delle sue parole. Mi siedo su una panca in legno e mi bevo il caffè fumante come una miracolosa pozione magica. Riscaldato dal calore della bevanda inizio il giro perlustrativo.
In quel preciso momento comprendo…
Niente acqua corrente…
si deve raggiungere una fonte con taniche di plastica da riempire.
Nessuna forma di elettricità…
solo candele sparse su vari ripiani.
Nemmeno il riscaldamento…
una piccola stufa a legna scalda la stanza principale.
I letti sono dei vecchi materassi polverosi abbandonati nel sottotetto.
I bagni sono del tipo scarico a “secchio”.
E la mattina ci si lava con dei catini riempiti di acqua gelida.
Perché restare?
È semplice, tutto ciò è una goccia nel mare della passione e del calore umano che trovo da Tomás.
Mi fa riscoprire la vita “pellegrina” di un tempo e in un senso più ampio la vita “semplice ed essenziale”…
quella fatta dalle piccole cose.
Il cuore di Tomás
Per Tomás esser un templare non vuol dire portare una barba bianca e indossare la tradizionale sopravveste con croce rossa all’altezza del petto.
È molto di più. È accogliere i pellegrini in un luogo dove trovare riparo dalle intemperie e dal freddo.
È il posto dove riposare e scambiare storie cucinando insieme un pasto caldo, da consumare attorno ad una tavola rotonda.
In una sola parola è altruismo.
Caratteristica che potete ritrovare anche nel motto di chi abita il suo rifugio templare “Non nobis domine”, il cui significato è “Non a noi oh Signore”.